LOMO: UN MICROFONO DA OLTRECORTINA

La Leningrad Optics & Mechanics Amalgamation (L.O.M.O) è un’azienda specializzata nella produzione di strumenti ottici avanzati, strumenti medici, lenti, macchine fotografiche e video camere per il mercato consumer, e ha sede a San Pietroburgo, Russia.

Fondata nel 1914 come G.O.Z.,poi rinominata G.O.M.Z.  e infine nel 1962 L.O.M.O; nel corso degli anni, ha prodotto dispositivi di vario tipo (famose sono le macchine fotografiche SMENA), comprese lenti e ottiche di precisione ad uso militare e aereospaziale.

Oltre a una sezione di ottica, ci sono state altre sezioni, tra cui una dedicata all’audio professionale.

I suoi microfoni, insieme a quelli della Oktava sono quelli che si sono diffusi di più in occidente dopo il crollo dell’U.R.R.S.

Mi viene consegnato un 82a-5M; per una revisione generale.

È un microfono dinamico costruito in due versioni la 82a-5M e la 82a-5M-Y2, che differiscono per alcuni dettagli e per l’anno di produzione.

Oltre alla revisione, il proprietario vorrebbe anche che sostituissi il cavo e gli costruissi un adattatore per poterlo montare su un’asta.

L’unico problema potrebbe essere l’adattatore; infatti sia il diametro, che il passo di filettatura, non corrispondono al sistema ISO.

Il diametro si misurava in “Linee” ( circa 1/10 di pollice), facendo le dovute proporzioni il foro per l’asta dovrebbe essere “2,5 Linee” ( un po’ più che 6mm) il passo dovrebbe essere 0,75mm, ma con una distanza tra le creste più corta.

Non ho né l’attrezzatura adatta, né le conoscenze per poter riprodurre un oggetto del genere; mi affido quindi ad un esperto tornitore che mi preparerà il pezzo finito.

Mentre aspetto che arrivi, inizio con lo smontare il microfono; tolta la ghiera, vedo che la capsula sembra incollata al corpo con una specie di colla.

Guardando meglio, mi rendo conto che non è colla, ma paraffina!!!

Non avevo mai visto un microfono tenuto insieme con la paraffina, neanche sui modelli a nastro più vecchi.

Il problema adesso è toglierla senza rovinare nulla; la paraffina fonde a circa ; potrei scaldare il corpo con una pistola ad aria calda, ma il getto è troppo caldo e troppo potente e rischierei di rovinare la lamina plastica della capsula.

Opto per una soluzione più soft: rivesto la capsula con della carta stagnola e la metto in camera climatica fino a 45° e poi la scaldo sul bordo con il getto della stazione saldante ad aria calda.

Dopo un po’ la paraffina diventa malleabile e la capsula si stacca facilmente.

Il resto e routine: smontaggio e pulizia del tubo di accordo, pulizia e verifica della lamina con il microscopio e sostituzione del cavo.

          

Il microfono è un tipico oggetto costruito in U.R.S.S.; ( sembra un pezzo del Voschod) è semplice, spartano; ogni pezzo è rifinito quel tanto che basta per poter combaciare con gli altri e niente di più.

Lo si vede chiaramente dalla protezione a forma di croce, i fori sono stati fatti a mano, appoggiando il pezzo sopra l’altro e quindi si può montare in un verso solo.

Rimontato il tutto, non mi resta che provare l’adattatore tornito.

In realtà non mi convince molto: è fatto molto bene, ma l’intero peso del microfono grava su pochi millimetri di ottone; in caso di caduta si potrebbe spezzare e rimanere incastrato dell’alloggiamento.

Lo modifico, aggiungendo un tubo sagomato, che avvolge il supporto filettato; in questo modo la superficie di appoggio aumenta, e non c’è il rischio di rotture.

audioTester Diagram

Per ultima la misura della risposta in frequenza; che risulta allineata ad altri microfoni dinamici (sia occidentali, che orientali) dello stesso periodo.

 

 

 

 

 

B.P.M: MORTE DI UN MICROFONO!!!

Mi arriva un microfono modello CR-73, della B.P.M. Studiotecnik di Berlino.

Questa azienda produce e vende vari modelli di microfoni ad uso studio di registrazione

e broadcasting.

Questo microfono appartiene alla prima serie prodotta nel 1993 ed è quindi ha circa 27

anni di età.

Provandolo mi rendo conto che è proprio morto: anche se correttamente alimentato con la Phantom

e stimolato da una fonte sonora, non presenta in uscita alcun segnale elettrico; neanche un disturbo.

Stacco quindi il corpo dalla capsula e inizio a verificare l’elettronica, che di solito, per questo tipo di difetto è la principale indiziata.

              

All’interno ci sono due circuiti stampati fissati ai lati del telaio, sul primo c’è il circuito di amplificazione

con un solo elemento attivo ( un FET), sul secondo è unicamente presente il trasformatore di uscita.

Guardandole bene, sembrerebbero autocostruite da un appassionato, e non fatte da ditte specializzate; non sono infatti presenti scritte identificative di alcun tipo, i componenti elettronici non sono a tolleranza stretta (sono al 5% anziché 1%) e le schede non sono verniciate con la tipica vernice di protezione verde, ma sono semplicemente stagnate.

In ogni caso, bisogna tenere conto, che (essendo un oggetto artigianale con qualche anno alle spalle),

è probabile che fossero costruite in questo modo, perché negli anni ‘90 non era possibile far produrre piccole serie di circuiti stampati come oggi (costava troppo) e quindi si faceva tutto in Laboratorio.

Verificato lo stato generale e le saldature, inizio a controllare che i circuiti funzionino correttamente: la tensione di alimentazione della capsula è corretta e stabile, e il FET amplifica correttamente.

Decido quindi di smontare la Testa per verificarne la capsula.

Una volta tolta la griglia di protezione, vedo che è presente uno spesso strato di sporcizia e polvere sulle lamine; questo spiega solo parzialmente l’origine del difetto, ci deve essere sicuramente qualcos’altro.

Infatti una volta ripulito il tutto, le armature si presentano parzialmente de-laminate.

Il supporto trasparente di Mylar ha assorbito l’umidità; che una volta superato il limite della Tensione Superficiale, ha spinto contro lo strato dorato, facendolo parzialmente staccare.

Faccio un paio di misure sulla capsula attaccandola al mio analizzatore: i valori di capacità e resistenza sono sballati e il sagnale in uscita è basso e distorto.

A questo punto non c’è molto da fare, bisogna sostituire l’intera capsula.

Contatto via mail la Studiotecnik, ma non ricevo alcuna risposta.

Osservando meglio il suo sito, vedo che non è più aggiornato da molto tempo che anche la grafica

è tipica degli anni ‘90.

È possibile che il costruttore abbia cessato l’attività per vari motivi e che sia rimasto solamente il sito.

Per esserne sicuro provo a contattare un paio di distributori, ed entrambi mi confermano che l’azienda non da più sue notizie da parecchio tempo.

Sento il proprietario spiegandogli la situazione, a questo punto ci sono solo due possibilità: sostituire la capsula rovinata con una di un altro produttore (ad es.Peluso), oppure tenere quella che c’è, usandola nello stato in cui si trova.

In questo frangente, mi arriva finalmente la risposta della B.P.M: per fortuna producono ancora una variante di questo microfono, che utilizza lo stesso tipo di capsula; ma attualmente non ne hanno di ricambio. Mi avviseranno quando saranno nuovamente disponibili… ma ci vorranno alcuni mesi.

Dopo aver soppesato i pro e i contro, il proprietario decide di lasciare la capsula originale e aspettare quando sarà disponibile il ricambio; ci aggiorneremo poi in seguito.

 

 

 

ALCTRON HST11 Vs APEX 460

Un compositore mi contatta dicendo che ha un microfono da sistemare.

Si tratta di un modello prodotto dalla Alctron, l’ HST11.

In realtà sul corpo non sono presenti né scritte, né marchi; in quanto questo modello è prodotto per conto terzi e quindi ci penserà il cliente ad apporre il proprio marchio su di esso.

Infatti questo microfono può avere tanti nomi quanti sono i commercianti che lo rivendono: Apex 460, Advanced Audio Cm12 SE, Nady TCM1150, Shuaiyin SYT1100, Carvin CTM100, ecc,ecc.

Sul web si trovano numerose modifiche per migliorare o quanto meno, modificare il suono di questo microfono.

Personalmente credo che se non si eseguono modifiche radicali (sostituzione, della capsula oppure del trasformatore di uscita, o di entrambi) non sia possibile modificarne completamente il suono.

D’altro canto, se si eseguono modifiche radicali, tanto vale modificare anche il circuito elettronico ma, a questo punto, si potrebbe parlare di ricostruzione (si tiene il telaio e si sostituisce tutto il resto).

Non voglio entrare nel merito se questo tipo di lavoro sia conveniente o no, ma sicuramente se uno vuole provare a smanettare su un microfono non molto costoso, che male c’è?

Tornando all’oggetto in questione: esso  è fermo da anni, in quanto il proprietario ha perso il cavo di alimentazione durante un trasloco; vorrebbe rimetterlo in funzione per capire come suona e poi valutarne eventuali modifiche.

Aperto l’apparecchio vedo che è costruito con buoni materiali: lo chassis è in acciaio, il trasformatore di uscita ha un contenitore schermato e il supporto della valvola è formato da una base di teflon tornito e gomma; il tutto per essere robusto ma nello stesso tempo ridurre le vibrazioni.

Il microfono esteticamente è molto simile all’ AKG C12 e ne riprende alcune caratteristiche: corpo rotondo e stretto e il dover essere utilizzato a “testa in giù”.

In questo modo il calore generato dal tubo a vuoto va verso l’alto e non crea una perturbazione davanti alla capsula. Lo si vede dalla valvola posta con la punta in basso e l’elettronica spostata sul lato opposto.

Per prima cosa mi procuro uno schema, in modo da capire come sono collegati i piedini del connettore XLR; guardandolo vedo che viene impiegata una ECC81/12at7 un doppio triodo, e che vengono utilizzati in due stadi di amplificazione posti in cascata. L’alimentazione dei filamenti è di 12V e l’anodica 200V.

Viste che  è un manufatto costruito per conto terzi, ( e quindi soggetto alle variazioni che potrebbe chiedere il cliente), decido di non fidarmi completamente dello schema, ma di verificare con un multimetro che i collegamenti del Canon di uscita corrispondano a quelli del microfono ( in pratica il connettore dovrebbe essere invertito: il pin 7 corrisponde a quello 1, il 2 al 6 ecc ecc).

Con meraviglia vedo che in realtà la connessione è invece diritta (1 va con 1, il 2 con il 2 ecc ecc); meno male che ho controllato.

Una volta arrivati il cavo , procedo a saldare gli spinotti; con il proprietario abbiamo deciso di usare un cavo buono ma non eccezionale: un Tasker serie  C4015, esso rappresenta un buon compromesso tra prezzo e prestazioni.

Collegato il tutto testo il cavo, che funziona perfettamente, anche se dopo un certo tempo sento delle piccole scariche presenti sull’ uscita audio. Tolta la calotta  di protezione della capsula vedo he le lamine sono un po’ sporche , le ripulisco  e per sicurezza lucido i piedini della valvola e il relativo zoccolo.

Dopo una lunga prova posso riconsegnarlo al legittimo proprietario.

 

PELUSO SR14: DUE è MEGLIO CHE UNO

La Peluso è una azienda inglese specializzata in microfoni di alta gamma.

La qualità dei loro prodotti è elevatissima e nel suo catalogo troviamo prodotti di molti generi diversi: si va dai microfoni a condensatore di piccolo diametro, passando per i valvolari, fino ad arrivare ai microfoni a nastro.

È proprio uno di questi che mi arriva in riparazione; il modello SR14.

Oltre a essere a nastro ha un’altra particolarità: è un modello stereo. Dispone di due sezioni messe una sopra l’altra in modo che possano ruotare tra di loro. In questo modo si può variare l’angolo di ripresa per passare da una configurazione XY a una ORTF con un solo gesto; passando per tutte le angolazioni intermedie.

La sezione superiore è guasta: no segnale. Dopo aver smontato il telaietto superiore e tolto la reticella vedo subito che la lamina è ormai spianata; non sono più presenti le pieghe che permettono al nastro di muoversi sotto l’effetto delle onde sonore e quindi il trasduttore non è più in grado di assolvere il suo compito.

Sembra una riparazione semplice; basterebbe rifare il nastro è sarebbe tutto risolto. Purtroppo non è così perché essendo il microfono stereo, i due trasduttori devono essere identici, per poter fornire un immagine coerente. In fase di fabbricazione, ottenere tutto questo non è difficile: si producono N trasduttori, (telaini con i nastri montai in questo caso) ,e poi si selezionano tra loro in modo da accoppiare quelli con le stesse caratteristiche. Questo procedimento è molto lungo ma garantisce tolleranze accettabili sugli stessi lotti di produzione; e spiega anche gli alti costi di questo tipo di microfoni.

Nel caso della riparazione in oggetto, invece bisogna procedere nel modo inverso: rifare il nastro, verificare strumentalmente che le sue caratteristiche siano compatibili con quello già montato e in caso contrario rifarlo di nuovo fino a trovare la giusta combinazione.

Un altra possibilità, è quella di rifare entrambi i nastri partendo da una stessa lamina, ma questo porterebbe a non avere più un microfono con le caratteristiche originali del produttore; con il rischio  che il proprietario non ne riconosca più il suono.

 

Scartata a priori la seconda ipotesi, propendo per la prima possibilità e mi rassegno ad un lungo lavoro.

Dopo aver misurato con accuratezza lunghezza, larghezza, spessore e pieghe del vecchio nastro, provo a rifarlo. Con sorpresa, le misure dicono che il nuovo nastro è compatibile con la sua  controparte e quindi posso rimontare il tutto.

Una lucidata al corpo del microfono permette di dichiarare conclusa la riparazione.

AKG414: UN CLASSICO INTRAMONTABILE

Mi arriva un microfono a condensatore AKG414 un po’ particolare: è rimasto per 15 anni montato su un asta senza essere mai riposto nella sua valigetta;Il tutto in uno Studio parecchio umido.

Il proprietario lamenta alcuni difetti: rumori vari fino al punto di interdire il funzionamento del microfono, mancanza di profondità di suono, è un generale degrado delle prestazioni.

Dopo aver smontato il microfono per prima cosa vedo che sia l’elettronica che le lamine sono molto sporche.

Dopo aver pulito l’elettronica mi posso dedicare alle lamine: rimosso lo strato di sporcizia rimonto il dispositivo e lo testo “ al volo” mandando uno sweep dai monitor di prova.

Il suono è orribie, una più accurata misura della risposta in frequenza conferma con un grafico molto irregolare che c’è ancora qualcosa che non funziona.

Smonto nuovamente lca capsula ma questa volta la collego al “Simulatore”.

Il Simulatore è un apparecchio autocostruito, che permette di alimentare le lamine di una qualsiasi capsula, indipendetemente dalla sua elettronica e di verificrne tutti i parametri intrinseci (Capacità, ESR,isolamento, ecc). Pultroppo ogni volta che eseguo le misure compaiono valori completamente diversi.

Osservate le membrane con l’aiuto del microscopio, mi rendo conto che è presente un alone in un angolo della lamina frontale. Dal bordo trasparentesi vede una liquido tra la membrana e il supporto in ottone.

Dopo un attimo di riflessione mi rendo conto che questo problema è legato ai materiali con cui è costruito il microfono; il Mylar con cui è formata la lamina, è infatti igroscopico e con il passare del tempo ha lasciato entrare l’umidità. Essa si è condensata in una goccia che ha mandato in parziale corto-circuito la capsula.

Questo spiega i valori sballati e il comportamento anomalo. Il problema ora è come far uscire tutta quest’acqua: non si possono smontare le lamine, sarebbe impossibile rimetterle in posizione senza l’attrezzatura adatta. Non si può neanche forare uno degli anelli in ottone, una minima imprecisione danneggerebbe tutto. Vista la situazione provo con il procedimento inverso: metto la capsula in camera climatica, e abbasso progressivamente l’umidità, in modo che per lo stesso effetto con cui  è entrata l’umiditò esca. Dopo 48 ore di questo trattamento, la macchia si è notevolmente ridotta ma non è sparita; tuttavia non posso insistere perché potrei deformare le varie parti.

Ora le misure sono regolari e ripetitive, dopo aver rimontato il microfono e averlo testato a fondo posso riconsegnarlo al suo proprietario.