MELOS EM-130: IT’S A LONG ROAD

La Shin-Ei è un’azienda giapponese, specializzata nella costruzione di pedalini per chitarre.

Nata negli anni 60’, ha iniziato producendo per altri marchi, per poi passare alla fine degli anni 80’, a produrre con il proprio nome.

La Univox, invece, era una società nata nel 1962 dall’acquisto della Amplifier Corporation of America (A.C.A.),  da parte di Unicord (produttore di trasformatori) che voleva espandere la propria produzione nel settore degli strumenti musicali.

Da quel momento la Univox  incominciò a vendere strumenti con il proprio marchio, ma prodotti in Giappone, (tra cui le chitarre Matsumoko) oppure importati (Marshall,Korg, ecc ecc).

Dal 1970 Shin-ei sviluppò e produsse, vari tipi di effetti per conto della Univox (su tutti  i famosi Super-Fuzz Pedal, usato da Pete Townshend e l’Uni-Vibe usato da David Gilmour) tra cui alcuni riverberi a nastro che la stessa Univox vendeva sotto il nome di Melos (Dalle iniziali del nome del proprietario Mersky  “MER-son”, “Me-los”).

Nel progettare Il Melos EM-130, oggetto di questo post, la Shin-Ei usò la più compatta tecnologia presente in quel momento in casa propria: L’HiPac.

L’HiPac era un successore della cartuccia PlayTape della Toshiba; Fu introdotto nell’agosto del 1971 dalla Pioneer sul mercato giapponese delle autoradio, ma venne dismesso nel 1973 per la scarsa richiesta.

Esternamente sembra una cassetta per Stereo 8, ma più piccola (le dimensioni sono quelle di una musicassetta), ma con lo stesso principio di funzionamento: un’unica bobina immagazzina il nastro che viene riprodotto a ciclo continuo.

Questo la rende adattissima per costruire una macchina che funzioni ad anello come un eco/riverbero.

L’EM-130, oggetto dell’intervento, nonostante i suoi 40 anni di età è in condizioni praticamente perfette; sul tolex e sul frontale non vi è alcun graffio, segno che il proprietario lo ha trattato con cura.

Il difetto è semplice: si accende, ma non funziona.

Separato il telaio dal contenitore vedo che la componentistica è interamente giapponese: semiconduttori e motore Matsushita, testine Pionerr, condensatori TDK e OSOR.

Dopo tutti questi anni i condensatori hanno iniziato a perdere elettrolita, e vanno quindi sostituiti, così come alcuni potenziometri che sono diventati rumorosi e la cinghia di trasmissione che è divenuta lasca.

 

Una volta ripristinato l’apparecchio devo occuparmi delle cartucce: il nastro non è più presente nella sua sede; i feltrini si stanno staccando e i Pich roller integrati girano male.

La prima cosa da fare è smontarle e dividere i gusci esterni da tutte le parti meccaniche; i primi vanno puliti facendo attenzione a non staccare le etichette originali, i secondi vengono sgrassati usando la lavatrice ad ultrasuoni.

Dopo la pulizia, noto che alcune parti sono consumate e in più non si riesce a capire quanto deve essere largo e lungo il nastro. Dopo numerose ricerche, riesco a contattare un appassionato che mi spedisce un Kit di ripristino dal Giappone, insieme alle istruzioni di montaggio.

Nel kit ci sono: le rondelle di teflon, il nastro, i feltrini di ricambio, i perni dei rulli e le molle.

Ripristinate le cartucce, non resta che costruire delle custodie, per evitare che la parte di nastro esposta si rovini.

Un lungo collaudo conclude l’interevento.

 

TELEFUNKEN M5A: A VOLTE LA PAZIENZA NON BASTA

La YLEISRADIO è la Radio di stato FINLANDESE che trasmette in tutto il territorio nazionale, fino alla Svezia.

È questa Radio, che a metà degli 50’, ha ordinato questo magnetofono M5A alla TELEFUNKEN.

Gli apparecchi erano costruiti su ordinazione, questo permetteva ai committenti di poter richiedere piccole modifiche o adattamenti in base alle caratteristiche del proprio studio radiofonico.

Su questo esemplare è stato modificato il circuito di uscita per avere qualche dB in più di segnale; ed è stato aggiunto un interruttore di Stand-by, che permette di tenere l’apparecchio acceso (quindi con le valvole in temperatura) ma con i motori fermi.

Dopo l’installazione, tutti gli apparecchi venivano presi in carico dai Tecnici interni che si occupavano della manutenzione ordinaria e straordinaria.

Su questa macchina sono state aggiunte due etichette in alluminio: la prima con il logo della Radio e il numero di inventario; nella seconda, invece una eloquente scritta in Finnico dice: VOR ÖFFNEN DES GERÄTES NETZSTECKER ZIEHEN (Staccare la spina prima di aprire il dispositivo).

       

Il registratore ha un guasto: si accende ma non riproduce.

Vista l’età dell’oggetto, (d’accordo con il proprietario) preferisco fare anche a un “Tagliando” per evitare che ci siano altri problemi a breve termine.

Procedo quindi con tutta una serie di verifiche meccaniche ed elettroniche.

Sollevando il telaio, la prima cosa che balza agli occhi è il grosso Conta-ore di derivazione automobilistica, che insieme ai motori e al trasformatore di alimentazione, sono tra le parti più pesanti di tutto il telaio.

Dai controlli emerge che la meccanica è in buono stato, (si vede che gli hanno fatto una manutenzione costante); gli unici elementi da sostituire sono i cuscinetti del Rullo Pressore che hanno preso gioco.

Anche l’elettronica è in ottimo stato, le valvole sono ancora efficienti al 90%,

 

 

 

L’unica cosa da fare, è la pulizia di tutti i contatti degli interruttori e dei relè che col tempo si ricoprono di una patina nera di ossido.

Fatte tutte le verifiche preliminari, posso passare al guasto: le causa è la bobina di un relè che si è interrotta.

Questo componente era fatto su misura, non è più prodotto da anni e non è reperibile un ricambio NOS.

L’unica soluzione è rifare l’avvolgimento con calma, pazienza e con la mia piccola bobinatrice a mano.

Rimontata e sostituito il diodo di soppressione, finalmente il magnetofono parte.

Ora che funziona posso fare le misure di routine ( Azimut, livello di uscita, banda passante, velocità e tensione del nastro,ecc ecc), e tenere in prova l’apparecchio.

Per sicurezza, verifico e sostituisco anche tutti i diodi soppressione presenti sui relè, che sono in parziale dispersione.

L’intervento sembra finito, se non che dopo alcuni giorni, compare un rumore, sia in fase di registrazione che in fase di riproduzione.

Incomincia con un rumore bianco e poi finisce con una piccola scarica; il tutto dura meno di un secondo.

I guasti aleatori sono i più difficili da trovare, perché non essendo costanti, fanno perdere tantissimo tempo per essere individuati; Infatti dopo parecchie misure e prove, scopro che è il raddrizzatore al Selenio della tensione anodica che sta iniziando a cedere.

La sua sostituzione con un componente moderno mi permette di completare la riparazione.

Ps. I Raddrizzatori al Selenio hanno la brutta caratteristica di bruciarsi di colpo emettendo un fumo tossico. Le prime avvisaglie sono: surriscaldamento, un odore acido e sbalzi di tensione in uscita.

Al contrario dei condensatori elettrolitici è meglio non tentare di ricostruirli, perché aprendoli il Cadmio contenuto all’interno, uscirebbe con il rischio di intossicarci.

 

 

 

 

LOMO: UN MICROFONO DA OLTRECORTINA

La Leningrad Optics & Mechanics Amalgamation (L.O.M.O) è un’azienda specializzata nella produzione di strumenti ottici avanzati, strumenti medici, lenti, macchine fotografiche e video camere per il mercato consumer, e ha sede a San Pietroburgo, Russia.

Fondata nel 1914 come G.O.Z.,poi rinominata G.O.M.Z.  e infine nel 1962 L.O.M.O; nel corso degli anni, ha prodotto dispositivi di vario tipo (famose sono le macchine fotografiche SMENA), comprese lenti e ottiche di precisione ad uso militare e aereospaziale.

Oltre a una sezione di ottica, ci sono state altre sezioni, tra cui una dedicata all’audio professionale.

I suoi microfoni, insieme a quelli della Oktava sono quelli che si sono diffusi di più in occidente dopo il crollo dell’U.R.R.S.

Mi viene consegnato un 82a-5M; per una revisione generale.

È un microfono dinamico costruito in due versioni la 82a-5M e la 82a-5M-Y2, che differiscono per alcuni dettagli e per l’anno di produzione.

Oltre alla revisione, il proprietario vorrebbe anche che sostituissi il cavo e gli costruissi un adattatore per poterlo montare su un’asta.

L’unico problema potrebbe essere l’adattatore; infatti sia il diametro, che il passo di filettatura, non corrispondono al sistema ISO.

Il diametro si misurava in “Linee” ( circa 1/10 di pollice), facendo le dovute proporzioni il foro per l’asta dovrebbe essere “2,5 Linee” ( un po’ più che 6mm) il passo dovrebbe essere 0,75mm, ma con una distanza tra le creste più corta.

Non ho né l’attrezzatura adatta, né le conoscenze per poter riprodurre un oggetto del genere; mi affido quindi ad un esperto tornitore che mi preparerà il pezzo finito.

Mentre aspetto che arrivi, inizio con lo smontare il microfono; tolta la ghiera, vedo che la capsula sembra incollata al corpo con una specie di colla.

Guardando meglio, mi rendo conto che non è colla, ma paraffina!!!

Non avevo mai visto un microfono tenuto insieme con la paraffina, neanche sui modelli a nastro più vecchi.

Il problema adesso è toglierla senza rovinare nulla; la paraffina fonde a circa ; potrei scaldare il corpo con una pistola ad aria calda, ma il getto è troppo caldo e troppo potente e rischierei di rovinare la lamina plastica della capsula.

Opto per una soluzione più soft: rivesto la capsula con della carta stagnola e la metto in camera climatica fino a 45° e poi la scaldo sul bordo con il getto della stazione saldante ad aria calda.

Dopo un po’ la paraffina diventa malleabile e la capsula si stacca facilmente.

Il resto e routine: smontaggio e pulizia del tubo di accordo, pulizia e verifica della lamina con il microscopio e sostituzione del cavo.

          

Il microfono è un tipico oggetto costruito in U.R.S.S.; ( sembra un pezzo del Voschod) è semplice, spartano; ogni pezzo è rifinito quel tanto che basta per poter combaciare con gli altri e niente di più.

Lo si vede chiaramente dalla protezione a forma di croce, i fori sono stati fatti a mano, appoggiando il pezzo sopra l’altro e quindi si può montare in un verso solo.

Rimontato il tutto, non mi resta che provare l’adattatore tornito.

In realtà non mi convince molto: è fatto molto bene, ma l’intero peso del microfono grava su pochi millimetri di ottone; in caso di caduta si potrebbe spezzare e rimanere incastrato dell’alloggiamento.

Lo modifico, aggiungendo un tubo sagomato, che avvolge il supporto filettato; in questo modo la superficie di appoggio aumenta, e non c’è il rischio di rotture.

audioTester Diagram

Per ultima la misura della risposta in frequenza; che risulta allineata ad altri microfoni dinamici (sia occidentali, che orientali) dello stesso periodo.

 

 

 

 

 

B.P.M: MORTE DI UN MICROFONO!!!

Mi arriva un microfono modello CR-73, della B.P.M. Studiotecnik di Berlino.

Questa azienda produce e vende vari modelli di microfoni ad uso studio di registrazione

e broadcasting.

Questo microfono appartiene alla prima serie prodotta nel 1993 ed è quindi ha circa 27

anni di età.

Provandolo mi rendo conto che è proprio morto: anche se correttamente alimentato con la Phantom

e stimolato da una fonte sonora, non presenta in uscita alcun segnale elettrico; neanche un disturbo.

Stacco quindi il corpo dalla capsula e inizio a verificare l’elettronica, che di solito, per questo tipo di difetto è la principale indiziata.

              

All’interno ci sono due circuiti stampati fissati ai lati del telaio, sul primo c’è il circuito di amplificazione

con un solo elemento attivo ( un FET), sul secondo è unicamente presente il trasformatore di uscita.

Guardandole bene, sembrerebbero autocostruite da un appassionato, e non fatte da ditte specializzate; non sono infatti presenti scritte identificative di alcun tipo, i componenti elettronici non sono a tolleranza stretta (sono al 5% anziché 1%) e le schede non sono verniciate con la tipica vernice di protezione verde, ma sono semplicemente stagnate.

In ogni caso, bisogna tenere conto, che (essendo un oggetto artigianale con qualche anno alle spalle),

è probabile che fossero costruite in questo modo, perché negli anni ‘90 non era possibile far produrre piccole serie di circuiti stampati come oggi (costava troppo) e quindi si faceva tutto in Laboratorio.

Verificato lo stato generale e le saldature, inizio a controllare che i circuiti funzionino correttamente: la tensione di alimentazione della capsula è corretta e stabile, e il FET amplifica correttamente.

Decido quindi di smontare la Testa per verificarne la capsula.

Una volta tolta la griglia di protezione, vedo che è presente uno spesso strato di sporcizia e polvere sulle lamine; questo spiega solo parzialmente l’origine del difetto, ci deve essere sicuramente qualcos’altro.

Infatti una volta ripulito il tutto, le armature si presentano parzialmente de-laminate.

Il supporto trasparente di Mylar ha assorbito l’umidità; che una volta superato il limite della Tensione Superficiale, ha spinto contro lo strato dorato, facendolo parzialmente staccare.

Faccio un paio di misure sulla capsula attaccandola al mio analizzatore: i valori di capacità e resistenza sono sballati e il sagnale in uscita è basso e distorto.

A questo punto non c’è molto da fare, bisogna sostituire l’intera capsula.

Contatto via mail la Studiotecnik, ma non ricevo alcuna risposta.

Osservando meglio il suo sito, vedo che non è più aggiornato da molto tempo che anche la grafica

è tipica degli anni ‘90.

È possibile che il costruttore abbia cessato l’attività per vari motivi e che sia rimasto solamente il sito.

Per esserne sicuro provo a contattare un paio di distributori, ed entrambi mi confermano che l’azienda non da più sue notizie da parecchio tempo.

Sento il proprietario spiegandogli la situazione, a questo punto ci sono solo due possibilità: sostituire la capsula rovinata con una di un altro produttore (ad es.Peluso), oppure tenere quella che c’è, usandola nello stato in cui si trova.

In questo frangente, mi arriva finalmente la risposta della B.P.M: per fortuna producono ancora una variante di questo microfono, che utilizza lo stesso tipo di capsula; ma attualmente non ne hanno di ricambio. Mi avviseranno quando saranno nuovamente disponibili… ma ci vorranno alcuni mesi.

Dopo aver soppesato i pro e i contro, il proprietario decide di lasciare la capsula originale e aspettare quando sarà disponibile il ricambio; ci aggiorneremo poi in seguito.

 

 

 

BRYSTON: CHE POTENZA!!! (Seconda Parte)

Eravamo rimasti con il dover misurare la potenza massima erogata del nostro amplificatore Bryston 3B per poterne poi calcolarne la potenza consumata.

Per fare ciò, useremo l’unica unità di misura tecnicamente accettabile per fare confronti: la Potenza Continua in Regime Sinusoidale o R.M.S.

Per eseguire questa misura ci occorrono alcuni strumenti: un generatore di bassa frequenza, un carico fittizio da 8 ohm, un oscilloscopio e una pinza amperometrica.

   

Tutti questi strumenti vengono collegati come nella figura sottostante.

(Per semplificare ho disegnato lo schema come se si fosse un canale solo, ma nella pratica li ho collegati entrambi).

La pinza amperometrica, serve a misurare la corrente assorbita dall’amplificatore dalla linea elettrica; il generatore crea un segnale di prova sinusoidale a frequenza fissa ( 1Khz), ma di ampiezza variabile. Il carico fittizio serve per dare all’amplificatore un carico puramente resistivo di valore costante ( 8 ohm) che non cambi al variare dell’ampiezza del segnale. L’oscilloscopio permette invece di vedere la forma d’onda di uscita per capire quando l’amplificatore si satura e inizia a distorcere, oltre che misurarne il valore R.M.S.

Per calcolare poi la potenza assorbita userò la formula: P = I x V

dove P è la potenza, I è la corrente misurata dalla pinza amperometrica e V sono la tensione della linea elettrica (230V).

Invece per calcolare la potenza in uscita devo prima trovare il valore della corrente che viene mandata al carico; quindi userò la legge di Ohm: I = V/R; dove I è la corrente che esce dall’amplificatore, V è la tensione misurata dell’oscilloscopio e R e il valore di resistenza del carico fittizio.

Trovata la corrente potrò anche in questo caso calcolare la potenza con la stessa formula di prima.

Prima di collegare gli strumenti, apro l’amplificatore per dargli una pulita e verificare che sia in ordine.

L’interno è ingegnerizzato molto bene: i circuiti dei due canali sono completamente separati.

Ogni canale, ha il suo alimentatore, il suo circuito di ingresso e stadio finale separati dall’altro.

L’unica cosa in comune sono le masse riferite nello stesso punto e messe a terra; in pratica è come avere due amplificatori elettricamente distinti, ma inseriti nello stesso contenitore.

Collegati tutti gli strumenti, li accendo e aspetto qualche minuto che l’amplificatore vada in temperatura.

Dopo 5 minuti mi accorgo che c’è qualcosa che non funziona: il canale destro scalda in modo anomalo,

l’aletta di raffreddamento è bollente e in più, al posto della sinusoide è presente solo una distorsione in uscita.

Spento il tutto inizio a indagare sul guasto.

Dopo un certo tempo mi rendo conto che ci sono i transistor finali in dispersione; una volta sostituiti, posso nuovamente passare alle misure.

Per prima cosa misuro quanto assorbe la macchina “a vuoto” cioè senza alcun segnale in ingresso.

Per fare questo, collego solo l’alimentazione e la pinza amperometrica; metto in cortocircuito entrambi gli ingressi e accendo il tutto.

La pinza amperometrica misura  210 mA

Se calcolo la potenza:

P =  V . I = 230 . 0,210 = 48,3W ≈ 50W

 

In pratica, l’amplificatore solo perché è acceso assorbe 50W dalla rete elettrica.

Inserito il segnale di prova, ne aumento il valore fino a quando la sinusoide in uscita arriva a 20V

Essendo che:

I = V/R = 20/8= 2,5 A

Quindi :                                P= V.I = 20 . 2,5 = 50W

 

Sono 50W erogati in uscita, ma dalla line elettrica quanto assorbe?

In ingresso abbiamo 1,6 A, e rifacendo il calcolo portano a ≈368 watt.

Salendo ancora con il segnale in ingresso, arrivo al clipping con 33,2V in uscita.

Tornando un po’ indietro vedo che il limite massimo è di 30,3V, che corrispondono a ≈115W che vanno al carico; Invece in ingresso, il calcolo porta a circa 420W assorbiti.

Per curiosità, riporto l’uscita in clipping a 33V e rifaccio le misure e i calcoli.

In questa fase l’apparecchio assorbe ≈460W e ne eroga ≈150 sul carico.

Ovviamente non questa situazione non si può usare, data l’elevata distorsione dei segnali.

Dalle misure emerge che in realtà la potenza effettiva che l’apparecchio può erogare è di poco superiore ai 115W a canale a fronte di 420W assorbiti e i 1500 dichiarati sulla targhetta.

Può sembrare poco, ma la resa del circuito (30%) è assolutamente il linea con questo tipo di configurazione circuitale.

Ps. In questa trattazione ho volutamente tralasciato alcuni aspetti,( come il cosα) per semplificare l’argomento e poterlo rendere comprensibile a tutti. Non me ne vogliate a male, ma non volevo scrivere un trattato di elettrotecnica.

 

 

BRYSTON: MA CHE POTENZA?

BRYSTON: MA CHE POTENZA?

(prima parte)

Alle sue origini, Bryston era una fabbrica Canadese per la produzione di apparecchiature elettromedicali, finché, nel 1968, non venne acquistata da un ingegnere della NASA e appassionato di alta fedeltà, John Russell. Per diversificare la produzione, John decide di produrre apparecchiature sia per il settore Hi-Fi, che professionale. Nel giro di pochi anni, il marchio Bryston divenne, sinonimo di affidabilità e robustezza, oltre a essere apprezzato per le ottime prestazioni musicali dei suoi apparecchi.

Un cliente mi consegna un Bryston 3B accompagnandolo con una richiesta particolare:

Vuole sapere quanto consuma esattamente. Il cliente vuole ridurre i consumi del suo studio sostituendo il suo amplificatore con uno meno potente, ma non riesce a capire quanta potenza assorba perché sulla targhetta posteriore è solo scritto 1500 V/A.

L’argomento della potenza, nel mondo musicale, è un argomento molto delicato, in quanto

è da sempre in atto una “guerra” tra i produttori per poter avere macchine sempre più potenti (almeno sulla carta). Tutto questo ha favorito la nascita di tutta una serie di sigle per aumentare in via artificiosa i watt scritti sugli amplificatori, in modo da poter attirare più clienti.

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulle grandezze elettriche più comuni che si trovano sulle etichette degli apparecchi:

Potenza Continua in Regime Sinusoidale ( Sine Wawe Continuos Power o R.M.S)

Il modo più rigoroso e tecnicamente l’unico accettabile, per poter confrontare apparecchi diversi è quello di utilizzare la Potenza Di Uscita Continua a Regime Sinusoidale.

Questo valore si ricava dal valore quadratico medio della tensione ai capi di un carico e dal valore del carico stesso. Semplificando: questo è il valore di energia elettrica che un amplificatore è in grado di fornire a un carico puramente resistivo a tempo indefinito; cioè, senza che esso si surriscaldi e che la distorsione non superi il 2%.

Quindi, un amplificatore che fosse in grado di fornire 200W continui ma con il 5% di distorsione e 100W continui ma con 1% di distorsione dovrebbe dichiarare 100W sui suoi dati di targa.

 

Potenza Musicale

Un altro valore che viene molto utilizzato è la potenza musicale.

Per capire cosa è, bisogna innanzi tutto fare una premessa: Molti amplificatori sono limitati nella loro massima potenza di uscita non nella sezione di amplificazione, ma nel loro alimentatore, che si “siede” oltre a un certo valore di corrente richiesto.

Se potessimo staccare l’alimentatore interno e collegassimo la sezione amplificatrice ad un alimentatore in grado di fornire una corrente illimitata e avessimo la possibilità di raffreddare i suoi semiconduttori perché non si scaldino mai; scopriremmo che la massima potenza in uscita (a parità di circuito elettronico) e sensibilmente maggiore di quella erogata con il solo alimentatore interno.

Questa è la Potenza musicale.

A prima vista, sembra inutile costruire un amplificatore in grado di erogare 100W, se poi il suo alimentatore non è in grado di fargliene fare, in modo continuativo, più di 50 o 70.

In realtà bisogna fare alcune considerazioni: Il segnale musicale che arriva nei nostri amplificatori è caratterizzato da una potenza media costante, e solo in certi momenti, (corrispondenti ai transitori di attacco delle note degli strumenti) la potenza richiesta raggiunge valori molto elevati.

Per far fronte a queste brevi richieste di potenza è sufficiente che:

  • L’elettronica della sezione amplificatrice sia in grado di erogarla; cioè non saturi e non distorca.
  • Che l’alimentatore abbia delle riserve di energia (condensatori elettrolitici) che si caricano quando la richiesta di potenza è piccola e che siano in grado di rilasciarla durante i transitori.

 

Bisogna, anche valutare che, la durata e la frequenza con cui si presentano i transitori, non si possono prevedere a priori e quindi, non si può calcolare di quanta scorta di energia sia necessaria per l’amplificatore

Inoltre e molto complicato fare delle misure di questo fenomeno in quanto, il blocco di amplificazione, durante i transienti, viene ad essere alimentato in regime di scarica capacitiva e non a tensione costante e questo provoca distorsioni nel segnale riprodotto. Non si può quindi sapere per quale intervallo di tempo massimo una amplificatore sia in grado di erogare la potenza musicale e con quale distorsione.

Tutte queste cose vengono valutate caso per caso dai progettisti dei singoli marchi, che adottano diverse soluzioni circuitali per i loro prodotti.

Per queste ragioni la potenza musicale è un valore da prendere con cautela, perché non permette confronti di potenza obbiettivi tra apparecchi diversi; perché non c’è alcun legame diretto tra la potenza continua e quella musicale tranne che la seconda è superiore alla prima.

 

Potenza di Picco

La potenza di picco è la potenza istantanea massima (non in un breve intervallo di tempo, ma quello che in Fisica si definisce “un istante”), che si ottiene facendo il prodotto della tensione di picco della sinusoide per la corrente di picco, supponendo che esse, siano in fase.

Questo dato è assolutamente privo di utilità pratica, in quanto, il valore di un “istante” è troppo breve per essere significativo.

Per questo motivo, il valore di picco non permette il confronto tra macchine diverse, perché due distinti amplificatori potrebbero avere potenze di picco molto differenti ma una potenza media uguale.

In sostanza la potenza di picco è solo un artificio per poter scrivere sulla targhetta un valore che è il doppio della potenza R.M.S.; ci sono poi anche delle aziende che calcolano la potenza di picco non, sulla potenza a regime continuo, ma sulla potenza musicale.

Anche in questo caso le cifre raddoppiano in maniera artificiale.

 

Potenza Assorbita (V/A)

La potenza assorbita, è la Potenza Apparente ( in un sistema Alternato) che l’amplificatore preleva dalla linea elettrica per poter funzionare. Tale potenza è molto superiore a quella che é effettivamente erogata da una macchina alle casse in quanto solo una parte dell’energia che viene assorbita viene poi usata nella sezione amplificatrice; una grossa parte viene persa in calore, perdite elettromagnetiche, circuiti ausiliari,ecc ecc. Per misurarla si sommano facendone il Modulo delle potenza attiva (quella effettivamente usata)  e reattiva ( quella non usata).

 

Questi sono i principali grandezze scritte sulle etichette degli amplificatori audio, di qualunque tipo siano.

Bisogna quindi fare molta attenzione alle unità di misura , perché può  accadere che: un amplificatore

In grado di assorbire solo 50W di potenza R.M.S  venga dichiarato da 500W per il semplice ragionamento: 50W R.M.S. quindi 100W musicali, 200w di picco e 500W assorbiti.

 

Fatta un po’ di chiarezza, possiamo vedere che sul Bryston è segnato il valore di 1500 V/A, si tratta quindi dell’energia assorbita dalla rete elettrica quando l’amplificatore eroga la sua massima potenza.

Si ma quale potenza? R.M.S.? Musicale? O di picco? E chi può saperlo…

L’unico modo di sapere quanto consuma il nostro amico Canadese è quello di misurare la corrente assorbita dalla linea elettrica mentre lavora alla sua massima potenza R.M.S, e da questo valore, calcolare la potenza assorbita (sempre R.M.S.)

 

Ma questo lo vedremo nella seconda parte di questo post.

 

ALCTRON HST11 Vs APEX 460

Un compositore mi contatta dicendo che ha un microfono da sistemare.

Si tratta di un modello prodotto dalla Alctron, l’ HST11.

In realtà sul corpo non sono presenti né scritte, né marchi; in quanto questo modello è prodotto per conto terzi e quindi ci penserà il cliente ad apporre il proprio marchio su di esso.

Infatti questo microfono può avere tanti nomi quanti sono i commercianti che lo rivendono: Apex 460, Advanced Audio Cm12 SE, Nady TCM1150, Shuaiyin SYT1100, Carvin CTM100, ecc,ecc.

Sul web si trovano numerose modifiche per migliorare o quanto meno, modificare il suono di questo microfono.

Personalmente credo che se non si eseguono modifiche radicali (sostituzione, della capsula oppure del trasformatore di uscita, o di entrambi) non sia possibile modificarne completamente il suono.

D’altro canto, se si eseguono modifiche radicali, tanto vale modificare anche il circuito elettronico ma, a questo punto, si potrebbe parlare di ricostruzione (si tiene il telaio e si sostituisce tutto il resto).

Non voglio entrare nel merito se questo tipo di lavoro sia conveniente o no, ma sicuramente se uno vuole provare a smanettare su un microfono non molto costoso, che male c’è?

Tornando all’oggetto in questione: esso  è fermo da anni, in quanto il proprietario ha perso il cavo di alimentazione durante un trasloco; vorrebbe rimetterlo in funzione per capire come suona e poi valutarne eventuali modifiche.

Aperto l’apparecchio vedo che è costruito con buoni materiali: lo chassis è in acciaio, il trasformatore di uscita ha un contenitore schermato e il supporto della valvola è formato da una base di teflon tornito e gomma; il tutto per essere robusto ma nello stesso tempo ridurre le vibrazioni.

Il microfono esteticamente è molto simile all’ AKG C12 e ne riprende alcune caratteristiche: corpo rotondo e stretto e il dover essere utilizzato a “testa in giù”.

In questo modo il calore generato dal tubo a vuoto va verso l’alto e non crea una perturbazione davanti alla capsula. Lo si vede dalla valvola posta con la punta in basso e l’elettronica spostata sul lato opposto.

Per prima cosa mi procuro uno schema, in modo da capire come sono collegati i piedini del connettore XLR; guardandolo vedo che viene impiegata una ECC81/12at7 un doppio triodo, e che vengono utilizzati in due stadi di amplificazione posti in cascata. L’alimentazione dei filamenti è di 12V e l’anodica 200V.

Viste che  è un manufatto costruito per conto terzi, ( e quindi soggetto alle variazioni che potrebbe chiedere il cliente), decido di non fidarmi completamente dello schema, ma di verificare con un multimetro che i collegamenti del Canon di uscita corrispondano a quelli del microfono ( in pratica il connettore dovrebbe essere invertito: il pin 7 corrisponde a quello 1, il 2 al 6 ecc ecc).

Con meraviglia vedo che in realtà la connessione è invece diritta (1 va con 1, il 2 con il 2 ecc ecc); meno male che ho controllato.

Una volta arrivati il cavo , procedo a saldare gli spinotti; con il proprietario abbiamo deciso di usare un cavo buono ma non eccezionale: un Tasker serie  C4015, esso rappresenta un buon compromesso tra prezzo e prestazioni.

Collegato il tutto testo il cavo, che funziona perfettamente, anche se dopo un certo tempo sento delle piccole scariche presenti sull’ uscita audio. Tolta la calotta  di protezione della capsula vedo he le lamine sono un po’ sporche , le ripulisco  e per sicurezza lucido i piedini della valvola e il relativo zoccolo.

Dopo una lunga prova posso riconsegnarlo al legittimo proprietario.

 

STUDER B62: IL “PORTATILE” DELLA CASA DI ZURIGO

Lo Studer B62 si può considerare come la versione evoluta del A62.

L’A62 nesceva nel 1965, come primo registratore completamente transistorizzato di studer, e il primo completamente modulare; Il B62 ne è un adattamento destinato ad un uso broadcast (Radio e Tv), con una serie di modifiche strutturali: dimensioni compatte, testine Butterfly, braccetti dei rulli tendi-nastro solidali tra loro, controllo elettronico della tensione del nastro e della velocità del motore capstan; possibilità di controllarne da remoto di tutte le funzioni. Non ultima la costruzione modulare dell’elettronica per permettere una rapida manutenzione.

Ne sono state prodotte 3 versioni differenti: B62, B62-TVU e B62- KVU.

Il tipo B62 comprendeva unicamente il magnetofono montato all’interno di una valigia per facilitarne il trasporto. Le dimensioni erano: 482 x 356 x 220 mm per 28 Kg di peso.

Il tipo B62-TVU ha in aggiunta un modulo con quattro preamplificatori separti; due per gli ingressi, due per le uscite e due VU meter commutabili per verificare i segnali.

Il tipo B62-KVU ha lo stesso modulo del TVU ma ha la possibilità di essere integrato in un carrello per l’istallazione in postazione fissa.

Un cliente mi consegna un B62 accompagnandolo con la classica frase “Funziona benissimo! Lo stavano usando prima che lo comprassi, un controllo rapido è sarà ok”.

In realtà non sono prevenuto su queste affermazioni: è vero, a volte si trovano macchine “perfettamente funzionanti” ridotte in uno stato disastroso; Invece, in altre occasioni, si trovano macchine in ottime condizioni che si possono usare da subito. In ogni caso prima di giudicare è meglio verificare l’effettivo stato della macchina.

A prima vista sembra in buone condizioni: Il percorso del nastro è pulito e le testine, il pinch roller,il perno capsta, le guide e i tendi-nastro sono si consumati, ma non in modo tale da dover essere sostituiti.

Estratto dalla sua valigia, vedo che le calotte di copertura dei motori sono identiche a quelle dei motori montati sui REVOX, si vede che il fabbricante è lo stesso!!! Osservandone l’interno noto che, le schede elettroniche non hanno macchie di umidità ma solo un velo di polvere e il conta-ore segna 4003.

Calcolando gli anni e lo stato di usura,deduco che è una macchina usata, ma con una manutenzione costante. L’unica scheda che presenta qualche segno di ossidazione è la 1.162.620 i suoi componenti attivi sono montati su zoccoli formati da piccole clip, che nel tempo tendono a ossidarsi e lasciarsi andare provocando falsi contatti.

Rimontato il tutto decido di dare corrente al magnetofono, misuro le tensioni sugli appositi test-point che sono di valore corretto e con basso ripple. Fatto ciò monto una nastro di prova, e premo play; la riproduzione si avvia ma vedo che il perno tendi-nastro sinistro, quello vicino alla bobina creditrice fa fatica a fare il suo lavoro, in più i rullo di sinistra sembra vada a scatti. Fermato tutto, muovo manualmente entrambi i meccanismi, sembrano frenati. Smonto per primo il rullo e vedo che entrambi i cuscinetti sono ormai consumati, li sostituisco con due SKF nuovi.

Convito che anche il tendi-nastro abbia lo stesso problema smonto anche quello ma vedo che qui il meccanismo è completamente diverso: il cuscinetto a sfere non è montato su un perno; ma il perno stesso è un cuscinetto a sfere. Questo tipo di meccanismo è di solito utilizzato nella meccanica degli orologi o in quelle di precisione (stampanti 3D) trovarlo su una macchina degli anni 70’ è stupefacente. Per riuscire a risolvere il problema l’unico modo è smontare l’intero blocco, rimuovere il lubrificante indurito e verificare che le sfere non siano consumate. Rimontare il tutto non è altrettanto semplice: bisogna spalmare di grasso al teflon il supporto, appoggiarci le sfere una per una, sfruttando l’effetto colla del grasso e poi rimettere con precisione la copertura.

                         

Fatto ciò riallineo il tutto come da Service manual e  provo tutte le funzioni del magnetofono in entrambe le velocità: avanzamento veloce, riavvolgimento, riproduzione con nastri mono e stereo e infine registrazione.

Vista l’assenza di anomalie inserisco in nastro di test e eseguo alcune misure. Il rapporto segnale/rumore è di 59db più che buono,invece la risposta in frequenza sfiora i 20Khz; più che ottima (i dati di targa dichiaravano 18Khz).

Per ultimo, ripulisco l’interno del registratore, sostituisco tutti i condensatori Rifa che rimangono in giro per il telaio e lo tengo in prova per qualche giorno.

             

Purtroppo iniziano a manifestarsi alcuni problemi inspiegabili: quando mando in stop la riproduzione, il magnetofono passa da solo in riavvolgimento, oppure in avanzamento, senza averne ricevuto il comando; in un’altra occasione appena inserito il nastro parte da solo in riproduzione.

Per prima cosa verifico i contatti striscianti dei vari pulsanti di comando. Effettivamente sono un po’ ossidati ma niente che giustifichi questi problemi.

Mentre ribalto la copertura per verificare i condensatori di spunto, l’occhio mi cade sui braccetti dei rulli tendi-nastro non sembrano nella corretta posizione di riposo. Effettivamente guardandoli dal di sopra, si nota che dovrebbero essere circa un centimetro più indietro.

              

Per poter accedere all’intero meccanismo, devo ribaltare il magnetofono e smontarlo completamente. Fatto ciò vedo che, la molla di richiamo negli anni si è snervata e non riesce più a contrastare la molla di avanzamento dei solenoidi. Oltre a ciò, la camma che gestisce le varie funzioni rimane,di conseguenza fuori fase e vede costantemente la meccanica come se fosse in posizione di riproduzione.

Questo spiegherebbe tutti i malfunzionamenti. Sostituita la molla e regolata la meccanica, ora i braccetti sono nella giusta posizione e la messa in fase dell’albero a camme è rispettata.

Mentre rimonto le vaire parti, colgo l’occasione per lucidare alcune minuterie, e riverniciare la scritta STUDER sul coperchio delle testine. Le solite misure e regolazioni di routine, e una settimana in prova concludono questo complesso intervento.

 

PELUSO SR14: DUE è MEGLIO CHE UNO

La Peluso è una azienda inglese specializzata in microfoni di alta gamma.

La qualità dei loro prodotti è elevatissima e nel suo catalogo troviamo prodotti di molti generi diversi: si va dai microfoni a condensatore di piccolo diametro, passando per i valvolari, fino ad arrivare ai microfoni a nastro.

È proprio uno di questi che mi arriva in riparazione; il modello SR14.

Oltre a essere a nastro ha un’altra particolarità: è un modello stereo. Dispone di due sezioni messe una sopra l’altra in modo che possano ruotare tra di loro. In questo modo si può variare l’angolo di ripresa per passare da una configurazione XY a una ORTF con un solo gesto; passando per tutte le angolazioni intermedie.

La sezione superiore è guasta: no segnale. Dopo aver smontato il telaietto superiore e tolto la reticella vedo subito che la lamina è ormai spianata; non sono più presenti le pieghe che permettono al nastro di muoversi sotto l’effetto delle onde sonore e quindi il trasduttore non è più in grado di assolvere il suo compito.

Sembra una riparazione semplice; basterebbe rifare il nastro è sarebbe tutto risolto. Purtroppo non è così perché essendo il microfono stereo, i due trasduttori devono essere identici, per poter fornire un immagine coerente. In fase di fabbricazione, ottenere tutto questo non è difficile: si producono N trasduttori, (telaini con i nastri montai in questo caso) ,e poi si selezionano tra loro in modo da accoppiare quelli con le stesse caratteristiche. Questo procedimento è molto lungo ma garantisce tolleranze accettabili sugli stessi lotti di produzione; e spiega anche gli alti costi di questo tipo di microfoni.

Nel caso della riparazione in oggetto, invece bisogna procedere nel modo inverso: rifare il nastro, verificare strumentalmente che le sue caratteristiche siano compatibili con quello già montato e in caso contrario rifarlo di nuovo fino a trovare la giusta combinazione.

Un altra possibilità, è quella di rifare entrambi i nastri partendo da una stessa lamina, ma questo porterebbe a non avere più un microfono con le caratteristiche originali del produttore; con il rischio  che il proprietario non ne riconosca più il suono.

 

Scartata a priori la seconda ipotesi, propendo per la prima possibilità e mi rassegno ad un lungo lavoro.

Dopo aver misurato con accuratezza lunghezza, larghezza, spessore e pieghe del vecchio nastro, provo a rifarlo. Con sorpresa, le misure dicono che il nuovo nastro è compatibile con la sua  controparte e quindi posso rimontare il tutto.

Una lucidata al corpo del microfono permette di dichiarare conclusa la riparazione.

AKG414: UN CLASSICO INTRAMONTABILE

Mi arriva un microfono a condensatore AKG414 un po’ particolare: è rimasto per 15 anni montato su un asta senza essere mai riposto nella sua valigetta;Il tutto in uno Studio parecchio umido.

Il proprietario lamenta alcuni difetti: rumori vari fino al punto di interdire il funzionamento del microfono, mancanza di profondità di suono, è un generale degrado delle prestazioni.

Dopo aver smontato il microfono per prima cosa vedo che sia l’elettronica che le lamine sono molto sporche.

Dopo aver pulito l’elettronica mi posso dedicare alle lamine: rimosso lo strato di sporcizia rimonto il dispositivo e lo testo “ al volo” mandando uno sweep dai monitor di prova.

Il suono è orribie, una più accurata misura della risposta in frequenza conferma con un grafico molto irregolare che c’è ancora qualcosa che non funziona.

Smonto nuovamente lca capsula ma questa volta la collego al “Simulatore”.

Il Simulatore è un apparecchio autocostruito, che permette di alimentare le lamine di una qualsiasi capsula, indipendetemente dalla sua elettronica e di verificrne tutti i parametri intrinseci (Capacità, ESR,isolamento, ecc). Pultroppo ogni volta che eseguo le misure compaiono valori completamente diversi.

Osservate le membrane con l’aiuto del microscopio, mi rendo conto che è presente un alone in un angolo della lamina frontale. Dal bordo trasparentesi vede una liquido tra la membrana e il supporto in ottone.

Dopo un attimo di riflessione mi rendo conto che questo problema è legato ai materiali con cui è costruito il microfono; il Mylar con cui è formata la lamina, è infatti igroscopico e con il passare del tempo ha lasciato entrare l’umidità. Essa si è condensata in una goccia che ha mandato in parziale corto-circuito la capsula.

Questo spiega i valori sballati e il comportamento anomalo. Il problema ora è come far uscire tutta quest’acqua: non si possono smontare le lamine, sarebbe impossibile rimetterle in posizione senza l’attrezzatura adatta. Non si può neanche forare uno degli anelli in ottone, una minima imprecisione danneggerebbe tutto. Vista la situazione provo con il procedimento inverso: metto la capsula in camera climatica, e abbasso progressivamente l’umidità, in modo che per lo stesso effetto con cui  è entrata l’umiditò esca. Dopo 48 ore di questo trattamento, la macchia si è notevolmente ridotta ma non è sparita; tuttavia non posso insistere perché potrei deformare le varie parti.

Ora le misure sono regolari e ripetitive, dopo aver rimontato il microfono e averlo testato a fondo posso riconsegnarlo al suo proprietario.